Saluti a...Robert Hunter: l´Africa nell´élite del ciclismo
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scritto da utente sconosciuto il 03-11-2014 12:42

Sport di chiare origini europee, il ciclismo, che ha visto i corridori del vecchio continente dominare incontrastati la scena per decenni. Solamente dagli anni Ottanta cominciano ad affacciarsi sui palcoscenici mondiali l´America - con le prime stelle statunitensi e i primi scalatori sudamericani - e l´Australia, terra di formidabili passisti. Alle soglie del terzo millennio, in piena globalizzazione, è l´Africa che prova ad inserirsi nel ciclismo che conta. E lo fa con Robert Hunter, grande iniziatore nonché punta di diamante di un intero continente da oltre un decennio che all´età di 36 anni ha deciso di dire basta con il ciclismo professionistico.
Nato a Johannesburg nel 1977 e cresciuto nella stessa città in pieno regime d´apartheid, lui, di razza bianca, ha modo di usufruire di tutte le agiatezze che gli si offrono. Si innamora della bicicletta all´età di 10 anni, sulla scia di alcuni amici. A diciassette comincia ad aggiudicarsi le prime gare a livello giovanile ed amatoriale e, un anno dopo, compie il grande salto in Europa, dove si stabilisce definitivamente. Qui tutto è diverso, ma riesce ad integrarsi perfettamente: impara sette lingue - tra cui l´italiano - e dedica anima e corpo al ciclismo, stimolato dalla sua "voglia matta di sfondare". Sprinter puro, corre da stagista con la Mapei, nella quale militano, tra gli altri, Franco Ballerini ed Oscar Camenzind, suoi idoli e coloro dai quali, per sua stessa ammissione, ha maggiormente appreso i segreti della bicicletta. Diventa professionista a ventidue anni con la maglia della Lampre - Daikin, cominciando una lunga carriera che si concluderà quindici anni dopo.
LE GIOIE
Il suo primo impatto con il professionismo è eccellente: con la formazione italiana vince subito la prima tappa della Vuelta a España, indossando di conseguenza la maglia di leader. È il primo africano a riuscirci. Conclude la gara a tappe iberica piazzandosi altre volte in top ten e chiudendo al secondo posto nella classifica a punti. Il feeling con la corsa spagnola prosegue due anni dopo: con la maglia di campione nazionale a cronometro vince ad Albacete la diciassettesima frazione. Passato di nuovo alla Mapei nel 2002, ripaga subito la fiducia di patron Squinzi vincendo tre tappe al Tour de Langkawi in Malesia e una al Giro di Polonia. Il 2004, in forza alla Rabobank, è l´anno più proficuo: nove successi - tra cui classifica generale al Tour of Qatar e due tappe al Giro di Svizzera - seguiti da altri sette nei due anni successivi alla Phonak. Oramai la consacrazione sta per arrivare. Colui che è di fatto un europeo di adozione ha solo un obiettivo: provare a centrare una vittoria al Tour de France. È il 2007: con la divisa della Barloworld, conquista sette vittorie. L´ultima, il sogno di una vita. È l´undicesima tappa della Grande Boucle, da Marsiglia a Montpellier. Hunter piazza la zampata vincente lasciandosi dietro, nell´ordine, Fabian Cancellara, Murilo Fischer, Filippo Pozzato e Alessandro Ballan. È il primo corridore africano a vincere una tappa nella più importante manifestazione ciclistica al mondo e con lui è tutto un continente a far festa. Dopo l´apice raggiunto, inevitabile un lieve, ma inesorabile calo. La sua squadra, la Barloworld - nella quale è cresciuto un altro africano di nascita, Chris Froome - non fa parte del nuovo ProTour e di conseguenza la mancanza di inviti nelle corse di primo piano non permette grande visibilità ai suoi atleti. Dopo aver ottenuto quattro vittorie nel 2008 e tre nel 2009, la Barloworld chiude ed egli cambia casacca, passando alla Garmin, a cui segue un anno alla RadioShack ed infine di nuovo alla Garmin, sua ultima formazione. L´ultima sua vittoria non ha di per sé un gran valore - la classifica generale allo Mzansi Tour - ma è ottenuta nel suo Sudafrica, davanti alla gente che lo ha visto crescere e diventare un corridore d´élite nel panorama mondiale. È anche grazie a lui che oggi possiamo ammirare i vari Natnaen Bahrane, Daniel Tekhlaimanot o Louis Meintjes, saliti in bici guardando Hunter, con la voglia e la speranza di stupire il mondo intero. Ed è grazie a lui che la globalizzazione nel ciclismo è definitivamente compiuta, con l´ingresso dell´Africa.
I DOLORI
La carriera di Robert Hunter non ha attraversato momenti davvero bui e la sua regolarità nel corso degli anni gli ha permesso di rimanere competitivo per oltre un decennio. È entrato nella storia del continente africano per essere stato il primo a vincere una tappa alla Grande Boucle, oltre ad aver colto un successo in un grande giro al suo primo vero anno da pro´. Ciò che manca, nel suo palmares, è una vittoria al Giro d´Italia: il secondo posto conquistato a Chiavenna nella settima frazione del Giro 2009 brucia ancora nella sua mente, così come la seconda piazza nella cronosquadre nell´edizione 2011, quando la sua squadra, la RadioShack, è battuta dalla BMC. E nelle occasioni perse inseriamo, infine, il secondo gradino del podio nella classifica a punti al Tour de France 2007, alle spalle di Tom Boonen.
Ma ciò che è passato è passato e, come lui stesso ha dichiarato nel messaggio di annuncio del ritiro, è giunta l´ora di "voltare pagina" e "guardare avanti", senza avere alcun rimpianto.
Nato a Johannesburg nel 1977 e cresciuto nella stessa città in pieno regime d´apartheid, lui, di razza bianca, ha modo di usufruire di tutte le agiatezze che gli si offrono. Si innamora della bicicletta all´età di 10 anni, sulla scia di alcuni amici. A diciassette comincia ad aggiudicarsi le prime gare a livello giovanile ed amatoriale e, un anno dopo, compie il grande salto in Europa, dove si stabilisce definitivamente. Qui tutto è diverso, ma riesce ad integrarsi perfettamente: impara sette lingue - tra cui l´italiano - e dedica anima e corpo al ciclismo, stimolato dalla sua "voglia matta di sfondare". Sprinter puro, corre da stagista con la Mapei, nella quale militano, tra gli altri, Franco Ballerini ed Oscar Camenzind, suoi idoli e coloro dai quali, per sua stessa ammissione, ha maggiormente appreso i segreti della bicicletta. Diventa professionista a ventidue anni con la maglia della Lampre - Daikin, cominciando una lunga carriera che si concluderà quindici anni dopo.
LE GIOIE
Il suo primo impatto con il professionismo è eccellente: con la formazione italiana vince subito la prima tappa della Vuelta a España, indossando di conseguenza la maglia di leader. È il primo africano a riuscirci. Conclude la gara a tappe iberica piazzandosi altre volte in top ten e chiudendo al secondo posto nella classifica a punti. Il feeling con la corsa spagnola prosegue due anni dopo: con la maglia di campione nazionale a cronometro vince ad Albacete la diciassettesima frazione. Passato di nuovo alla Mapei nel 2002, ripaga subito la fiducia di patron Squinzi vincendo tre tappe al Tour de Langkawi in Malesia e una al Giro di Polonia. Il 2004, in forza alla Rabobank, è l´anno più proficuo: nove successi - tra cui classifica generale al Tour of Qatar e due tappe al Giro di Svizzera - seguiti da altri sette nei due anni successivi alla Phonak. Oramai la consacrazione sta per arrivare. Colui che è di fatto un europeo di adozione ha solo un obiettivo: provare a centrare una vittoria al Tour de France. È il 2007: con la divisa della Barloworld, conquista sette vittorie. L´ultima, il sogno di una vita. È l´undicesima tappa della Grande Boucle, da Marsiglia a Montpellier. Hunter piazza la zampata vincente lasciandosi dietro, nell´ordine, Fabian Cancellara, Murilo Fischer, Filippo Pozzato e Alessandro Ballan. È il primo corridore africano a vincere una tappa nella più importante manifestazione ciclistica al mondo e con lui è tutto un continente a far festa. Dopo l´apice raggiunto, inevitabile un lieve, ma inesorabile calo. La sua squadra, la Barloworld - nella quale è cresciuto un altro africano di nascita, Chris Froome - non fa parte del nuovo ProTour e di conseguenza la mancanza di inviti nelle corse di primo piano non permette grande visibilità ai suoi atleti. Dopo aver ottenuto quattro vittorie nel 2008 e tre nel 2009, la Barloworld chiude ed egli cambia casacca, passando alla Garmin, a cui segue un anno alla RadioShack ed infine di nuovo alla Garmin, sua ultima formazione. L´ultima sua vittoria non ha di per sé un gran valore - la classifica generale allo Mzansi Tour - ma è ottenuta nel suo Sudafrica, davanti alla gente che lo ha visto crescere e diventare un corridore d´élite nel panorama mondiale. È anche grazie a lui che oggi possiamo ammirare i vari Natnaen Bahrane, Daniel Tekhlaimanot o Louis Meintjes, saliti in bici guardando Hunter, con la voglia e la speranza di stupire il mondo intero. Ed è grazie a lui che la globalizzazione nel ciclismo è definitivamente compiuta, con l´ingresso dell´Africa.
I DOLORI
La carriera di Robert Hunter non ha attraversato momenti davvero bui e la sua regolarità nel corso degli anni gli ha permesso di rimanere competitivo per oltre un decennio. È entrato nella storia del continente africano per essere stato il primo a vincere una tappa alla Grande Boucle, oltre ad aver colto un successo in un grande giro al suo primo vero anno da pro´. Ciò che manca, nel suo palmares, è una vittoria al Giro d´Italia: il secondo posto conquistato a Chiavenna nella settima frazione del Giro 2009 brucia ancora nella sua mente, così come la seconda piazza nella cronosquadre nell´edizione 2011, quando la sua squadra, la RadioShack, è battuta dalla BMC. E nelle occasioni perse inseriamo, infine, il secondo gradino del podio nella classifica a punti al Tour de France 2007, alle spalle di Tom Boonen.
Ma ciò che è passato è passato e, come lui stesso ha dichiarato nel messaggio di annuncio del ritiro, è giunta l´ora di "voltare pagina" e "guardare avanti", senza avere alcun rimpianto.
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